La Corte di Cassazione accoglie il ricorso in revocazione 

La quinta sezione tributaria della Suprema Corte di Cassazione ha accolto con sentenza 21.12.2022, n. 957/’23, depositata il 13.01.2023, il ricorso in revocazione presentato dallo Studio Santi, sia per la fase rescindente sia per la fase rescissoria, e di conseguenza revocando la propria precedente ordinanza sfavorevole al contribuente.

La causa concerneva la legittimità della produzione di documenti (bancari) in prima battuta non consegnati alla richiesta dell’A.F., ma successivamente prodotti alla stessa dopo aver concordato un nuovo termine per la consegna e aver fissato all’uopo un nuovo contraddittorio, e del resto analizzati ed utilizzati nella motivazione degli avvisi di accertamento successivamente emessi.

Venivano in rilievo anche i principi di lealtà e di buona fede, oltre che di piena e leale collaborazione tra contribuente e Fisco, presidiati dall’art. 10 della Legge n. 212 del 2000.

La Suprema Corte con la sentenza 957/’23 ha stabilito che «Sul piano del giudizio rescindente, i motivi di ricorso, da esaminare insieme per connessione, sono fondati.

6.1. Per la giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. U. 27/11/2019, n. 31032) “L’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa; pertanto, è esperibile, ai sensi degli artt. 391-bis e 395, comma 1, n. 4, c.p.c., la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso, ma deve escludersi il vizio revocatorio tutte volte che la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio.

6.2. Nel nostro caso, sussiste il vizio revocatorio dell’ordinanza n. 19783/2021 – la quale, per un verso, ha condiviso il giudizio espresso dalla C.T.R. sull’inconferenza della documentazione bancaria prodotta dal contribuente al fine di contrastare gli accertamenti basati su metodo sintetico e, per altro verso, non ha colto il fulcro della lite – che, in sostanza, ha omesso di pronunciare sulle articolate censure contenute nel quarto, nel quinto e nel sesto motivo di ricorso per cassazione».

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Venendo all’esame del giudizio rescissorio, la Corte di Cassazione ha valorizzato la propria precedente sentenza n. 34538/21 (patrocinata anch’essa dall’avv. Umberto Santi) che aveva deciso a favore della coniuge del ricorrente la medesima vicenda e le medesime questioni giuridiche.

La Corte di Cassazione infatti cita «Cass. n. 34538/21 – attinente alla medesima vicenda tributaria e, in particolare, all’impugnazione degli avvisi per gli anni di imposta 2005 e 2007, emanati nei confronti di …, coniuge del contribuente – che il Collegio condivide, la quale ha ribadito il principio giurisprudenziale per cui, in tema di accertamento fiscale, l’invito da parte dell’Amministrazione finanziaria, previsto dall’articolo 32, quarto comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, a fornire dati, notizie e chiarimenti, assolve alla funzione di assicurare – in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria – un dialogo preventivo tra fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni, sì da evitare l’instaurazione del contenzioso giudiziario, rimanendo legittimamente sanzionata l’omessa o intempestiva risposta con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa».

La Suprema Corte quindi stabilisce che «L’Agenzia delle entrate, dunque, avendo concordato con la contribuente un nuovo termine per completare la documentazione documentale al 28 giugno 2011, non avrebbe potuto negare l’utilizzabilità dei documenti tempestivamente prodotti entro tale data, pena la plateale violazione dei princìpi di lealtà e di buona fede, oltre che di piena e leale collaborazione tra contribuente e Fisco, presidiati dall’art. 10 della legge n. 212 del 2000. Del resto, tali documenti, ritenuti dalla Agenzia come inutilizzabili, sono stati, però, menzionati negli avvisi di accertamento emessi nei confronti della contribuente, sia pure svilendone il contenuto effettivo, con una condotta intrinsecamente contraddittoria. Se un documento è inutilizzabile non se ne dovrebbe tenere conto in alcun modo, senza indagare sul contenuto dello stesso […] I documenti, dunque, poiché prodotti tempestivamente, nella fase precontenziosa, dovranno essere valutati dal giudice del rinvio».

La Corte di Cassazione pertanto stabilisce il «principio di diritto per il quale “In tema di imposte sui redditi, se il termine concesso al contribuente per la produzione documentale di cui all’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 (nella versione all’epoca vigente), viene prorogato su accordo delle parti, i documenti prodotti entro tale nuovo termine sono pienamente utilizzabili nel processo tributario, senza alcuna necessità del rispetto delle indicazioni procedurali di cui al quinto comma dell’art. 32 citato (allegazione dei documenti al ricorso introduttivo e contestuale dichiarazione di mancato adempimento per causa non imputabile); e ciò a maggior ragione nell’ipotesi in cui l’Amministrazione abbia inserito la documentazione all’interno della motivazione degli avvisi di accertamento, sia pure solo per svilirne il contenuto, pena la violazione dei princìpi di lealtà e di buona fede, oltre che di piena e leale collaborazione tra contribuente e Fisco, presidiati dall’art. 10 della legge n. 212 del 2000”».

Download Cass. 957/’23

 

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