Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24823 del 9 dicembre 2015, sono tornate sulla questione del contraddittorio endoprocedimentale.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24823 del 2015, intervengono per la terza volta in pochi mesi sulla questione del contraddittorio preventivo. Rispetto alle pronunzie precedenti, l’ultima è in realtà un passo indietro rispetto alla tutela delle garanzie del contribuente italiano.
Così, in estrema sintesi, decide la Suprema Corte.
Se la verifica si svolge presso il contribuente, questi (grazie allo Statuto del contribuente) ha sempre diritto di spiegarsi. Sempre.
Invece se la verifica avviene a tavolino, non gli spetta il diritto di spiegarsi.
La differenza è irragionevole.
Se la verifica avviene per tributi armonizzati a livello europeo (come l’Iva), il contribuente ha sempre diritto di spiegarsi, altrimenti no: “cittadino” europeo, “suddito” italiano. Tributi “europei” di serie A, tributi “italiani” di serie B.
La differenza è irragionevole.
Non solo le differenze appaiono irragionevoli, però: anche l’applicazione sul piano pratico è irragionevole, perché un unitario accertamento ai fini delle imposte dirette e dell’Iva dovrà conciliare le contemporanee maggiori garanzie per l’Iva e minori garanzie per le imposte dirette, anche quando le diverse maggiori imposte siano basate sul medesimo maggior imponibile.
In primo luogo, si auspica una interpretazione che interpreti le norme alla luce dei principi (in primis dei principi costituzionali, di buona amministrazione – art. 97 Cost. – e di ragionevolezza ed uguaglianza – art. 3 Cost. -, ma anche alla luce del diritto di difesa, che la sentenza comprime – ma solo in ambito nazionale, non in ambito europeo – limitandolo alla difesa in giudizio, ed escludendolo invece per la difesa nella fase precontenziosa). Si auspica un’interpretazione che non comprima i principi inchinandosi alla lettera delle norme (e creando disparità irragionevoli): la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ci ha mostrato in proposito fulgidi esempi, come la sentenza n. 17576 del 10 dicembre 2002, la quale estendeva il principio di affidamento oltre i limiti testuali della norma dello Statuto del contribuente.
In secondo luogo (e questa è la via indicata dalla stessa sentenza delle Sezioni Unite) si auspica che il Legislatore nazionale interpreti e ove necessario modifichi le proprie leggi perché – in presenza di situazioni uguali e dunque ugualmente meritevoli di uguale tutela (la ripetizione è ovviamente voluta) – i principi e le garanzie del contribuente italiano siano uguali, sia comparando analoghe situazioni italiane, sia comparando analoghe situazioni italiane ed europee. La linea è già stata tracciata dallo stesso Legislatore, all’art. 1, comma 1, lett. b in fine, e all’art. 9, comma 1, lett. b in fine, della Legge 2014 n. 23 sulla delega fiscale, come ricorda la stessa sentenza delle Sezioni Unite.

Dopo poche settimane, però, la prima sezione della CTR Toscana, presieduta dal Presidente della V Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, con ordinanza di rimessione alla Corte Cost, il 10 Gennaio 2016, rimette tutto in discussione.

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