La Cassazione accoglie il ricorso per vizi di motivazione in tema di Irap avvocati e di autonoma organizzazione

La Suprema Corte con sentenza della Sez. Tributaria Civile 14.3.2023, n. 7908/’23, dep. 17.3.2023, ha cassato la sentenza di secondo grado la quale aveva ritenuto l’esistenza di una autonoma organizzazione a fini Irap, desumendola principalmente da alcuni indici, neppure univoci, e cioè dall’ammontare delle spese sostenute (le quali però si riferivano in massima parte a domiciliatari e ad un sostituto d’udienza) e dalla circostanza che il contribuente svolgesse spesso l’attività “al di fuori della propria sede”, con ampi margini di profitto.

La Corte di Cassazione ha stabilito che «nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione». In particolare, «[l]a motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente ed, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost.» (Cass. 30/06/2020, n. 13248 del 30/06/2020). Pertanto, «In tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito.» (Cass. 14/02/2020, n. 3819). Giova poi ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il giudice non può, nella motivazione, limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, perché questo è il solo contenuto “statico” della complessa dichiarazione motivazionale, ma deve impegnarsi anche nella descrizione del processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione di iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario contenuto “dinamico” della dichiarazione stessa (cfr. Cass. 23/01/2006, n. 1236; Cass. 19/04/2013, n. 9577, in motivazione; Cass. 29/07/2016, n. 15964; Cass. 20/12/2018, n. 32980). Nella fattispecie concreta, la CTR ha omesso di illustrare le ragioni del proprio convincimento. Infatti, utilizzando una formula tautologica, telegrafica e sostanzialmente omissiva, ha desunto, in maniera semplicistica, in rapporto alla pluralità di elementi fattuali riferibili ai tredici periodi di imposta per i quali è chiesto il rimborso dell’Irap, l’esistenza dell’autonoma organizzazione (quale fattore ostativo al detto rimborso) da alcuni indici, neppure univoci (in argomento, ex plurimis, Cass. n. 4424/20, e la giurisprudenza ivi richiamata, in connessione con Cass. Sez. U. n. 9451/16 e con Cass. n. 3676/07; Cass. nn. 21806/19, 19775/19, 719/19), e cioè dalle spese sostenute e dalla circostanza che il contribuente svolgesse spesso l’attività “al di fuori della propria sede”, con ampi margini di profitto». 

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